Come diventare Growth Hacker, tutto quello che devi sapere

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Introduzione

Credo che, senza ombra di dubbio, una delle domande che mi fanno più spesso negli ultimi tempi è: come diventare growth hacker? Nella maggior parte dei casi questa domanda mi viene posta da laureandi e neolaureati che vogliono investire in una delle professioni più ricercate sul mercato negli ultimi anni, ma ogni tanto tra i curiosi c’è anche qualche professionista o freelance che si occupa di materie limitrofe (marketing, prodotto, UX, ecc.) e vorrebbe allargare le sue competenze.

Proprio per questo motivo nel mio libro “Growth Hacker, mindset e strumenti per far crescere il tuo business” ho affrontato il tema del Growth Hacking non tanto dal punto di vista della disciplina (esistono già diversi libri validi sul tema), ma quanto piuttosto dal punto di vista della professione. Chi è il growth hacker oggi? Cosa fa concretamente in azienda? Quali competenze deve avere? Come gestisce la sua giornata lavorativa? Questi erano gli interrogativi che avevo in mente prima di iniziare la stesura del libro.

Confesso che dare una risposta esaustiva alla domanda “come diventare growth hacker?” non è banale, e vorrei provare a farlo con questo post, dando un po’ di indicazioni concretamente attuabili e non la solita lista farlocca che si trova su molti post americani di questo tipo.

Forbes, in un premonitore articolo del 2013 titolava “Ecco perché tutti i marketer tradizionali dovrebbero diventare growth hacker” e, anche provando ad avere una visione più equilibrata della cosa, è impossibile non notare il crescente interesse intorno alla figura del growth hacker. Basta farsi un giro su una qualsiasi piattaforma di ricerca lavoro (Monster, Indeed, Glassdoor o altre) per notare la quantità incredibile di posizioni aperte in aziende di ogni tipo.

Quando ci si trova di fronte a un argomento per il quale c’è forte hype in corso c’è sempre il rischio di liquidarlo troppo velocemente come la moda del momento o, viceversa, farsi prendere dall’entusiasmo e sovradimensionare la questione.

Se ti interessa percorrere seriamente il cammino che ti porterà a diventare un growth hacker (che sia per la tua azienda, per quella del tuo capo o dei tuoi clienti) è importante, a mio avviso, analizzare la questione nella sua interezza, senza incorrere in uno dei due estremi descritti sopra.

Chi è il Growth Hacker

Prima di procedere ulteriormente vorrei chiarire che per il ruolo del growth hacker vengono ormai utilizzati diversi nomi, ma che significano tutti esattamente la stessa cosa. Alcuni di questi nomi/ruoli sono:

  • growth master
  • growth marketer
  • head of growth
  • chief growth officer
  • e così via.

Come vedi l’unica parte in comune tra questi termini è la parola growth ad indicare che è una figura che in azienda deve occuparsi di una sola cosa: la crescita.

L’altro punto importante che va chiarito è il fatto che il growth hacking non è un’attività svolta da un singolo, ma è un lavoro di team. Non esiste uno scenario dove assumi (o formi) il growth hacker per fare attività di growth hacking, ma piuttosto assumi (o formi) il growth hacker da mettere a capo del processo e del team di crescita.

Tra l’altro, se vuoi approfondire il tema di come creare un team di crescita ti consiglio di dare un’occhiata a questo video del Growth Hacking Day 2018, dove ho fatto un talk proprio su questo argomento:

https://www.youtube.com/watch?v=rc4gWyo_7-c

Il growth hacking è un lavoro di squadra in tutti gli step del processo (ideazione, prioritizzazione, esecuzione e analisi) e non solo nella fase di esecuzione come spesso si potrebbe pensare. È un’attività crossfunzionale che va a impattare in maniera concreta su tutti i reparti dell’azienda (sales, operation, marketing, business development, ecc.) e su tutti gli aspetti del business.

In uno scenario di questo tipo il growth hacker (o growth master o uno dei tanti nomi visti sopra) non è nient’altro che un facilitatore. Una figura chiave intorno alla quale ruota il resto del team che deve assicurarsi che il processo di growth hacking prosegua senza intoppi: controlla che tutti abbiano dei task assegnati; che tutti abbiano le risorse a disposizione per eseguirli; che non ci siano esperimenti che si accavallano; definisce gli obiettivi; controlla le metriche; si occupa della definizione delle Key Performance Indicator; gestisce il budget; modera il growth meeting e così via.

Se sei pratico con il mondo Agile e il framework Scrum, si potrebbe fare un parallelismo dicendo che il growth hacker si avvicina molto alla figura dello scrum master all’interno della metodologia Agile.

Anzi, se vogliamo dirla tutta, il Growth Hacking è molto più vicino a metodologie come Agile, Design Thinking e Lean invece che a mondi con cui viene spesso confuso come il funnel marketing, l’automation marketing o il performance marketing.

Detto questo passiamo a vedere un po’ di aspetti pratici di questa figura (partendo dal più importante, il mindset) e soprattutto i vari step che compongono il percorso del come diventare growth hacker.

Il mindset del growth hacker

Ho ripetuto fino allo sfinimento come il growth hacking sia prima di tutto un mindset, un approccio. Un modo nuovo di affrontare problematiche vecchie: un modo migliore, più veloce e più ottimizzato di fare marketing, di creare prodotti e di far crescere aziende.

Nel mindset del growth hacker ci sono parecchie caratteristiche distintive e tra un po’ ne elencherò 6 a mio avviso fondamentali. Prima delle caratteristiche mi piacerebbe, però, individuare quelli che sono alcuni fattori motivazionali che spingono una persona a fare questo lavoro e a diventare growth hacker. Ce ne sono sicuramente tanti, ma nella mia esperienza personale ne ho individuati 3 che ho riscontrato in ogni professionista con cui ho parlato negli anni.

Curiosità

Se ti aspettavi che il primo tassello verso il percorso del diventare growth hacker fosse stato qualche cosa di tecnico ti sbagli di grosso. Credo fermamente che uno degli elementi più importanti nella mentalità di un growth hacker sia la curiosità.

E qui ci colleghiamo con la parola hacker in growth hacker.

L’avrò ripetuto mille volte, ma è sempre utile rimarcarlo: la parola hacker fa riferimento al suo significato originale e puro che significa pensare fuori dagli schemi, cercare risposte dove apparentemente non ce ne sono, voler smontare la scatola per capire come funziona, utilizzare il pensiero laterale e così via.

Il growth hacker è curioso per natura. Vuole capire il perché delle cose, il loro funzionamento, il loro meccanismo, si chiede se una cosa può essere fatta in maniera diversa, se si può utilizzare un altro approccio o un altro strumento, se può essere migliorata e come. Il growth hacker non accetta lo status quo e odia la frase “abbiamo sempre fatto così”.

Proprio per questo motivo non smette mai di studiare: un nuovo libro, un nuovo corso, un nuovo tool, un nuovo caso studio… un nuovo stimolo. L’aspetto dello studio lo approfondirò in un paragrafo ad hoc di questo post.

Ossessione per la crescita

Lo so che la parola “ossessione” spaventa sempre un po’, ma in questo caso è la parola più adatta a far capire il rapporto che il growth hacker ha con la crescita. Se nel paragrafo precedente ho analizzato la parte hacking di growth hacking, qui vediamo la parte growth.

È abbastanza banale da dire, ma lo dirò comunque: il growth hacker ha come obiettivo finale quello di far crescere un prodotto, un business o un’azienda. La crescita come propria stella polare, come direbbe Sean Ellis, il creatore di questa disciplina.

Nella visione americana (e originale) di questa materia si fa spesso riferimento alla “crescita esponenziale”, ma credo che questo concetto sia nel 90% dei casi poco adatto alla realtà italiana. Non siamo la Silicon Valley, non abbiamo i loro ritmi, i loro soldi e il loro ambiente, quindi ha poco senso cercare di scimmiottarli.

Col passare del tempo sono arrivato a una mia visione della cosa, molto più italiana e molto più contestualizzata al nostro ecosistema. Ecco perché preferisco parlare di “crescita sostenibile” e “scalabilità”.

Il growth hacker è “connesso” con la crescita in qualsiasi cosa fa! Ogni passo (piccolo o grande che sia) e ogni decisione (semplice o complessa che sia) dovrebbe essere sempre e solo nell’obiettivo finale della crescita. La crescita è il perno intorno al quale gira la sua quotidianità.

Passione per il prodotto

In inglese definiscono con il termine product guy o product people chi ha un orientamento mentale verso il prodotto. Ecco, il growth hacker è decisamente un product guy!

Indipendentemente dall’essere senior o junior, dal lavorare in ambito B2B o B2C, in una startup o in una multinazionale, il growth hacker è appassionato di prodotto. Sa che un prodotto di qualità è il primo necessario step per un processo di crescita e fa di tutto per averne uno.

È una persona che in passato ha creato prodotti, ha fatto il design di prodotti, ha testato prodotti, ha validato prodotti, ha lanciato prodotti e chi più ne ha più ne metta. Solo persone con questo approccio riescono poi ad avere un impatto concreto e a influenzare direttamente lo sviluppo del prodotto su cui stanno lavorando.

Ecco perché in molte startup (e non solo) il ruolo del growth hacker viene spesso ricoperto da chi in precedenza aveva un ruolo di prodotto come product manager, product owner e così via.

Caratteristiche del growth hacker

Come ti avevo promesso all’inizio di questo capitolo, concludo il paragrafo con le 6 caratteristiche fondamentali di questa figura, che ho precedentemente tracciato nel mio libro.

  • Ha spirito imprenditoriale
    Il Growth Hacker è una persona con un forte spirito imprenditoriale e per questo è in grado di correre rischi e di assumersi responsabilità.
  • Gestisce il processo, non il team
    Ho già accennato all’inizio di questo post il suo ruolo all’interno del team, qui voglio solo sottolineare il fatto che non sia un manager. Il suo unico obiettivo è far sì che il processo di growth hacking funzioni al meglio.
  • È un leader
    Proprio perché il growth hacking è un’attività collettiva (e non di un singolo) è importante che la persona a capo di questo processo abbia competenze da leader per guidare e motivare gli altri.
  • È un portavoce
    Il growth hacker deve evangelizzare la cultura della crescita in azienda, soprattutto verso gli altri reparti e le persone che non lavorano nel team di crescita.
  • È disciplinato
    Quando si lavora con un processo prefissato con degli step stabiliti è fondamentale avere la disciplina di seguire i singoli passi con costanza e coerenza.
  • È orientato ai dati
    Ultimo, ma non per importanza è l’approccio orientato ai dati. Il growth hacker non prende decisioni basate sull’istinto o l’esperienza o l’intuito, ma solo ed esclusivamente basandosi sui dati.

Costruire un profilo a T

t shaped modello

Se stai leggendo questo post e sei arrivato fino a qui dovresti aver compreso già che il growth hacking è l’intersezione di una serie di discipline preesistenti che potremmo raggruppare in tre grandi aree: marketing, prodotto e dati. Ecco perché la caratteristica principale di questo approccio e, di conseguenza, di chi fa questo lavoro è la multidisciplinarietà.

Il growth hacker non è uno specialista.

Questo aspetto è importante e va chiarito subito. È una persona che preferisce sapere un po’ di tutto invece che tutto di un po’, non vuole diventare il migliore in una disciplina, ma vuole padroneggiarne quante più possibili.

È una figura ibrida che riesce a unire senza problemi creatività, ossessione per i dati, orientamento al marketing, passione per il prodotto, curiosità e leadership.

Nell’ambiente delle risorse umane questo tipo di figure vengono definite “profili a T” che si contrappongono ai “profili a I” che sono gli specialisti o verticali. Si usa la lettera T per indicare questo tipo di persone perché l’elemento verticale rappresenta la profondità delle conoscenze (su un paio di materie/argomenti principali) e l’elemento orizzontale rappresenta l’ampiezza delle conoscenze (su una serie di materie di supporto).

Un bellissimo approfondimento sulla relazione tra growth hacker e profilo a T è stato fatto da Neil Patel nella sua famosa guida definitiva al growth hacking. Anche se la guida non è proprio recentissima, questo capitolo dedicato al profilo del growth hacker lo trovo ancora attuale e utilissimo per chi muove i primi passi.

Ovviamente non esistono due growth hacker con profili uguali e con le stesse competenze all’interno della T. Tutto dipende dal tipo di background che hai, dal percorso formativo che hai fatto e dalle tue precedenti esperienze lavorative.

Ad esempio, un Growth Hacker che viene dal mondo del marketing avrà, probabilmente, ottime conoscenze di Advertising, di SEM, di Funnel e potrà (anzi, dovrà) rafforzare le sue competenze di programmazione, di analytics, di copywriting, di AB testing, e così via.

Allo stesso modo un Growth Hacker che viene da un background tecnico sarà probabilmente ferratissimo sulla programmazione, sul lavorare con un database e sui tool, ma dovrà completare la sua formazione acquisendo delle skill in storytelling, in design, in UX, e tanto altro.

La verità, è che non esiste una formazione predefinita che vada bene per tutti. Ci sono Growth Hacker molto tecnici che hanno fatto i programmatori per anni, ma anche Growth Hacker che hanno un passato da venditori o marketer puri, come Sean Ellis.

Questo non significa però che il Growth Hacker sia un tuttofare!

Anzi, il suo punto di forza è proprio il focus ossessivo su una metrica, anche se perseguito con un approccio olistico. In altre parole l’obiettivo è così chiaro e cruciale, che non è importante il modo con cui lo si raggiunge, basta che funzioni!

Il growth hacker è un venditore e quindi deve conoscere il processo di acquisto, le strategie di prezzo, deve sapere scrivere un testo persuasivo e conoscere le leve psicologiche. È un designer e deve essere in grado di immedesimarsi nei bisogni degli utenti, saper definire delle buyer personas, sporcarsi le mani con la UX e UI del prodotto, deve sapere individuare e migliorare il momento wow. È un marketer e deve sapersi muovere tra i vari canali di acquisizione e la pubblicità, deve padroneggiare gli strumenti di analytics ed essere a suo agio con le metriche. Infine è un programmatore e deve comprendere le potenzialità dell’automazione, deve sapere integrare API, scrivere codice quando necessario o quantomeno conoscere i tool principali per ottenere i suoi obiettivi.

Ti ha spaventato il paragrafo che hai appena letto? Non ti ho mai detto che fare questo lavoro fosse facile e immediato!

Ma quindi in tutto questo ora la domanda principale è “come si ottiene un profilo a T?”.

La risposta è semplice, ma allo stesso tempo complessa: è fondamentale un giusto mix di formazione continua e di sana curiosità. Quando si parla di formazione, soprattutto su tematiche del mondo digitale l’opinione degli esperti è sempre spaccata a metà tra i sostenitori della teoria e quelli della pratica.

Il tema è complesso e non ho la pretesa di esaurirlo in questo post (ho scritto parecchio su entrambi i temi, teoria e pratica), ma personalmente non ho mai ritenuto necessario schierarmi con uno dei due gruppi, semplicemente perché credo che ci sia bisogno di entrambe allo stesso modo. Se hai studiato tanto il growth hacking sei solo un bravo studioso, se hai sperimentato tanto se solo uno smanettone. Un bravo growth hacker si piazza nel mezzo.

Hai capito bene, per diventare growth hacker hai bisogno di un 50% di teoria e 50% di pratica in un continuo ciclo di formazione e sperimentazione.

Facile a dirsi, ma difficile a farsi…

Come diventare growth hacker: la teoria

Avviso: non saltare questo paragrafo! Non fare l’errore di pensare “si ok, belli i libri e la teoria ma io voglio smanettare”, questo non è un lavoro per smanettoni. Se non fosse chiaro ripeto un concetto accennato qualche paragrafo più su: il growth hacker gestisce un processo e lavora in un team di cui ha la responsabilità!

Avere solide basi teoriche fa tutta la differenza del mondo quando ti trovi di fronte a situazioni difficili o scenari che non avevi previsto. Ecco perché faccio continuo riferimento alle basi del marketing, le basi della psicologia, le basi della UX, le basi del branding e così via.

In questa fase ti dico con tutto il cuore di frenare la tua smania di provare quel nuovo tool o di copiare quella tecnica che hai letto su un blog americano e di rimetterti a studiare, partendo dalle competenze verticali della famosa T che ho descritto in precedenza.

Chiediti “su cosa sono già molto preparato?”, “quali sono gli argomenti su cui mi sento forte?”, “dove sono le mie principali lacune?”, “cosa mi serve veramente per fare il salto di qualità?” e così via.

Siamo fortunati a vivere in un’epoca dove abbiamo un accesso all’informazione senza precedenti, sia per qualità che per quantità e per costi. Possiamo studiare quasi qualsiasi materia o argomento dal divano di casa nostra a costo zero o bassissimo.

Siamo letteralmente inondati da piattaforme MOOC specialistiche e generaliste, abbiamo guide gratuite in ogni lingua, ebook e webinar come se piovesse, e così via. Puoi decidere tu da dove iniziare, quanto spendere e quanto velocemente alzare l’asticella.

A conclusione di questo post ti lascio un bel paragrafo con decine di risorse per chi vuole diventare growth hacker. Troverai libri, blog da leggere, influencer da seguire, video interessanti, corsi e tanto altro.

Come diventare growth hacker: la pratica

Avviso: se hai scrollato tutto il post solo per arrivare a questo paragrafo ti consiglio caldamente di tornare in cima e leggerlo dall’inizio. Nel growth hacking non ci sono scorciatoie, ci vuole tempo e costanza per fare questo lavoro. Se già adesso vuoi usare trucchetti stai partendo col piede sbagliato.

Ovviamente tutta la teoria di questo mondo da sola non basta, non in un contesto come quello moderno dove tutto si evolve a una velocità pazzesca e i contenuti diventano obsoleti dopo 24 ore.

Ecco perché è fondamentale l’altro 50% del processo: la pratica. Devi sporcarti le mani mettendo in pratica le conoscenze acquisite nella fase di studio avendo la capacità di contestualizzare il tutto in un progetto reale.

Tutto ciò va fatto però con l’obiettivo di costruire una strategia e non semplicemente di copia-incollare un simpatico caso studio americano o un trucchetto letto sui social. Purtroppo viviamo in un’epoca che esalta lo smanettone nella quale si fa a gara a chi ha le metriche (di vanità) più grosse.

La verità è che in ogni progetto ci sono in gioco un sacco di fattori e che se non hai una visione strategica di lungo periodo non vai da nessuna parte. La sperimentazione ha bisogno di elasticità mentale, di pazienza e di umiltà, caratteristiche per nulla cool che raramente si leggono in giro, soprattutto di questi tempi.

È la versione 2.0 della “gavetta” di cui tanto andavano fieri i nostri nonni e i nostri genitori. Sperimentare significa mettersi in gioco e, di conseguenza, essere pronti anche a fallire, ma accettando la casualità e cominciando a fare degli errori migliori.

A questo punto hai fondamentalmente tre scelte:

  • Se hai una startup o un tuo progetto
    Parti da lì! Hai la grossa fortuna di avere qualcosa di concreto di tuo sul quale poter lavorare, allora inizia ad applicare le cose che studi quotidianamente sul tuo progetto. Anche se si tratta di qualcosa di piccolo, inizia a testare: strategia, tecniche, strumenti, approcci e chi più ne ha più ne metta. Ricordati che l’obiettivo finale deve essere la crescita e la tua ossessione devono essere i dati. Poniti degli obiettivi semplici e inizia a sperimentare per vedere se e come riesci a raggiungerli per poi alzare un po’ alla volta l’asticella.
  • Se non hai nulla di tuo
    Se proprio non hai nulla di tuo su cui poter smanettare allora chiedi a qualcuno di farti applicare ciò che stai studiando nel suo progetto. Potrebbe essere un amico che sta lanciando un prodotto, una startup che cerca stagisti o, meglio ancora, trovati un mentor che ha già fatto queste cose in passato. Se sei giovane non preoccuparti di farlo gratis!
  • Se non conosci nessuno con un progetto
    A questo punto non mi resta che suggerirti di avviare tu qualcosa! E attenzione non ti sto dicendo che devi inventare la nuova Facebook o devi avviare l’azienda che ti cambierà la vita. Parti da una tua passione, lancia qualcosa di tuo e sperimenta tutti i giorni. Anche su questo aspetto hai solo l’imbarazzo della scelta e puoi fare cose grandiose a costo zero o quasi: lancia un blog, apri un canale YouTube, registra un podcast, e così via. L’importante è avere qualcosa di reale su cui poter smanettare tutti i giorni e applicare ciò che studi.

Tutte le risorse per diventare growth hacker

Per concludere questo mega post, come ti avevo promesso, ti lascio un super elenco di risorse utili per chi si vuole avvicinare a questa disciplina. Le risorse sono in ordine completamente casuale, non è una classifica e non è l’ordine con cui devi studiarle.

Come dicevo qualche riga più su, in rete ormai abbiamo a disposizione tantissimo materiale valido, ma allo stesso modo, quando un argomento diventa hype, è facile anche imbattersi in contenuti scadenti e fuffa varia. Ho provato quindi a fare un po’ di selezione in questo mare magnum di contenuti.

Sulle pagine di questo blog trovi anche una bella lista di influencer, esperti e guru del growth hacking che ti conviene seguire se vuoi rimanere aggiornato.

Libri

Sui libri di growth hacking ho scritto un intero post, quindi se vuoi approfondire l’argomento ti consiglio di dare una sbirciatina a quello. Qui ti lascio semplicemente l’elenco dei titoli con i relativi link.

Corsi

Nel mercato italiano non c’è tantissimo a livello di corsi sul growth hacking. Io ho un’academy online dedicata al Growth Hacking dove puoi formarti con contenuti sempre nuovi e una community di imprenditori e professionisti da tutta Italia.

Se invece sei a tuo agio con l’inglese e vuoi qualche suggerimento su corsi stranieri puoi dare un’occhiata al corso di Sean Ellis da affiancare al suo libro e al corso di Ryan Holiday sempre da affiancare al suo libro.

Articoli

Anche sugli articoli si potrebbe discutere per ore, ma nell’enorme quantità di post che vengono scritti ogni giorno sul tema ce ne sono alcuni che a mio avviso andrebbero letti perché sono dei must per chi si occupa di questa materia.

  • Growth Hacker is the new VP Marketing – Link
  • Why all marketers should be Growth Hackers – Link
  • Debunking The 6 Most Common Myths About Growth Hacking – Link
  • The Difference Between Marketing And Growth Hacking – Link
  • Find a Growth Hacker for your startup – Link
  • Every company needs a Growth Hacker – Link
  • What Is Growth Hacking? A Definition and a Call to Action – Link
  • Why Growth Hack Marketing Is Advertising’s Last Hope – Link
  • The 5 Phases of Growth Hacking – Link
  • What is Growth Hacking really? – Link
  • What is Growth Hacking? – Link
  • Defining A Growth Hacker: Three Common Characteristics – Link
  • Growth Hacking made simple – Link

Casi studio

I casi studio sono importanti, ovviamente è impossibile copiare una strategia che ha funzionato per l’azienda X e sperare di replicarla per la nostra startup. Rimane comunque interessante capire come hanno fatto certe realtà a impostare la loro strategia di crescita, non tanto in termini di tattiche, ma di mindset e percorso fatto.

Video

Una risorsa troppo poco considerata sono i video. Concludo questa super lista con alcuni video che potrebbero essere utili se stai studiando il growth hacking e vuoi saperne di più.

Conclusioni

Ho iniziato questo post ammettendo che non era facile rispondere alla domanda “come diventare growth hacker” perché la risposta era lunga e articolata. Spero di esserci riuscito o, quantomeno, di averti dato gli spunti necessari per iniziare questo percorso.

Non ho la pretesa di aver esaurito l’argomento e, proprio per questo motivo, cercherò di rinfrescare periodicamente questo post con link aggiornati e nuove e utili informazioni e risorse.

Buon viaggio, perché è di questo che si tratta 😉

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